Roscigno vecchia, la ”Pompei del Novecento”

Roscigno, il “paese che cammina”.

I continui  smottamenti del terreno , iniziati nel ‘500, hanno costretto a spostare più volte l’ubicazione del borgo. Tra i  monti Alburni ,  territorio carsico , l’acqua domina il paesaggio e pure il sottosuolo.  Le frane sono frequenti, le strade spesso incerte . Oggi il paese sorge in zona sicura, ma la sua anima vive ancora a Roscigno Vecchia, distante 2 km. E forse anche il suo futuro, legato alle nuove forme di turismo.

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Roscigno vecchia, la ”Pompei del Novecento”.

Così la definì  Onorato Volzone , giornalista de  Il Mattino , quando nel 1982 scoprì il borgo in abbandono ed avviò la discussione sulla sua valorizzazione. Come gli antichi pompeiani, anche i roscignoli fuggirono alla forza della natura. Solo che la fuga è stata molto più lenta, durata quasi un secolo, da quando due ordinanze del Genio Civile, nel 1907 e 1908, stabilirono lo  sgombero del paese  e la  costruzione di nuove case piú a monte . Ma buona parte degli abitanti non voleva la lasciare la propria dimora, non vedeva grandi rischi e, soprattutto, non aveva denaro sufficiente per costruire nuove case. In molti partirono per le Americhe e la Svizzera. A metà degli anni Sessanta, poi, i pericoli delle frane divennero evidenti. Gli emigrati, intanto, iniziarono ad inviare i propri risparmi ai parenti. Era giunto il momento di trasferirsi.

Roscigno vecchia, il “Paese-Museo”, patrimonio mondiale Unesco.

Giornalisti e passaparola hanno portato i turisti nel borgo fin dagli anni ’80, quando nacque la  Pro Loco  ed il  Museo della Civiltà Contadina .  Primo del suo genere in Campania ed uno fra i più interessanti del Sud Italia , il Museo ha sede in sei sale dell’ex-municipio e dell’ex canonica ed è stato allestito da  Maria Laura Castellano , storica dell’arte che da oltre 25 anni si occupa di Roscigno vecchia. Attraverso foto, utensili e testimonianze varie, ogni sala racconta un ciclo lavorativo: dell’uva e del vino, dell’olivo e dell’olio, dell’allevamento e dell’attività casearia, della lavorazione dei campi e della lana, del grano e del pane.
Tutto racconta di  sacra lentezza, vita armonizzata con la natura, rispetto dell’ambiente, degli animali e del lavoro .
Ma la civiltà contadina del Sud non rivive soltanto all’interno del Museo:  Roscigno vecchia è un vero e proprio Paese-Museo .

Cosa rara, il borgo non è stato intaccato dalla modernità, conservando i  tratti urbanistici ed architettonici di un centro agro-pastorale sette-ottocentesco . Per tutti questi ed altri motivi, nel 1998 Roscigno Vecchia è stata inserita nella lista dei siti  patrimonio Unesco , insieme al  Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano , l ’area archeologica di Paestum  e la  certosa di Padula. E non a caso il borgo è stato usato come  set cinematografico per videoclip e film , tra cui “Cavalli si nasce” di  Sergio Staino , “Radio West” di  Alessandro Valori  e “Noi credevamo” di  Mario Martone. Anche le telecamere di  National Geographic  sono state di recente qui, suscitando curiosità e interesse in tutto il mondo.

La meraviglia ti prende quando, dopo un “corridoio” di case puntellate, la vista si apre sull’ampia  piazza Giovanni Nicotera , una piazza senza selciato, con tigli e platani secolari, alcuni abbattuti da un virus. C’è una  bella fontana circolare in pietra , un  abbeveratoio  e, a destra, su un piano rialzato, la  Chiesta settecentesca di San Nicola di Bari . All’interno, sbirciando nelle fessura del portone, si può ammirare un bellissimo tavolato ligneo ancora ben conservato.
Il paese è suddiviso in vari  agglomerati di case in base ai mestieri dei proprietari . I portali in pietra marcano le differenze, insieme alle cornici decorative oppure ai balconcini in ferro battuto.
Scolorite dal tempo, le insegne ricordano la presenza di antiche botteghe ed officine. Qui troviamo tanti esempi di una  tipica casa contadina del Cilento interno : una piccola casa di pietre, legate da malta e sabbia, con un tetto di tegole in terracotta. Il piano terra fungeva da stalla, bagno, cantina e deposito. Il primo piano, con un solaio in legno, aveva una sola stanza da letto e la cucina con camino. La soffitta ben ventilata era usata per conservare oppure essiccare alimenti.
Molte strade si perdono nei rovi e sono oggi inaccessibili, chiuse con nastri per il pericolo di crolli che aumenta di anno in anno . Quando l’accesso ti è precluso, ti chiedi quanto ancora resisteranno le case e cosa andrebbe fatto per preservarle. Poi lasci domande e dubbi, ti siedi su una panchina, chiudi gli occhi, senti il canto degli usignoli (da cui il nome del paese), il rumore della fontana, i profumi della natura e infine soltanto il silenzio.

Roscigno vecchia, il “borgo fantasma”

Eppure non è mai stato così, almeno non del tutto. Quando ogni famiglia andò a vivere nel paese nuovo, tre contadini continuarono a resistere nelle vecchie case, senza luce, né acqua corrente, né fogne. Erano Luigi, Grazia e Teodora, meglio conosciuta come Dorina. Ex suora,  Dorina ha vissuto da sola in paese fino ad 85 anni . Dopo la sua morte, nel 2000, la sua scelta di solitudine è stata ereditata nel 2001 da  Giuseppe Spagnuolo , sessantenne con barba e capelli alla Marx, occhio vispo e voce calda, in bocca una pipa con foglie di carciofo ed altre erbe essiccate. Giuseppe ha trascorso qui la sua infanzia e, dopo anni e anni in cerca di fortuna per il mondo, la fortuna l’ha trovata nelle sue origini, pur vivendo con la media di appena due euro al giorno.  Giuseppe ama definirsi non l’ultimo né l’unico abitante di Roscigno vecchia, piuttosto “il primo del nuovo millennio”. Un abitante abusivo e uomo libero, come il nomignolo che ha scelto per sé .
Giuseppe “Libero” Spagnuolo vive in compagnia dei suoi gatti e fa da  cicerone ai turisti , guidandoli nel borgo, nella sua casa e nei suoi tanti ricordi. E con le lettere, foto e cartoline inviategli da ogni dove, ancora oggi continua a viaggiare per il mondo.  Il mondo gli gira intorno , a Roscigno vecchia, mentre i contadini e i pastori ancora oggi girano in piazza, intorno all’unica fontana del paese, con i lori carri e i loro animali, di ritorno dai campi e dai pascoli. Molti, inoltre, hanno adibito alcune case a stalla oppure a deposito degli attrezzi. Insomma,  il borgo di Roscigno vecchia non è mai stato interamente abbandonato  e, finché le case reggono, non lo sarà mai.

Roscigno vecchia, “memento mori”

Le mura pericolanti, le travi spezzate, i solai sfondati, le aree interdette e le tante puntellature risvegliano nel visitatore il timore della fine, la paura della morte.  Roscigno vecchia è una metafora, scolpita in pietra, della vana lotta umana contro le leggi della natura . Tutto inizia e tutto finisce. Ma, a ben vedere, niente finisce perché tutto si trasforma. Il “ricordati che devi morire” (il “memento mori” degli antichi romani e di tanti pittori italiani) diventa allora un proposito di salvezza nel presente. Un tentativo di conservazione e, allo stesso tempo, un invito a riconsiderare tempi e modi della propria esistenza.
L’amministrazione ha provato a salvaguardare il sito grazie a 2  
milioni di euro stanziati dalla Regione  ed al  sovvenzionamento di una Fondazione italo-americana , creata dai pronipoti di paesani emigrati. Alcuni edifici sono stati messi in sicurezza, laddove sono minori gli effetti della frana, anche se in tanti dubitano dei risultati statici ed estetici. Ogni anno, inoltre, il borgo ospita  sagre contadine  sulla  dieta mediterranea ,  raduni di auto d’epoca ,  rimpatriate di emigrati  e dei lori eredi,  mercatini ,  premi ,  presepi viventi  ed altre iniziative.
A Dorina, l’ultima residente, è stato dedicato un tiglio mentre un olmo riporta  
una targa dedicata ad Angelo Vassallo , il sindaco pescatore, che ricorda una sua frase:  “Sono i paesi che fanno il Paese: la vera ricchezza è il posto in cui si vive” .

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